non è farina del mio sacco ma presa da Pasta Madre lover
Enzimi è un termine con cui ho a che fare da diversi anni, non per quanto riguarda i processi legati al pane ma senz’altro per altri motivi. Approfondendo gli argomenti relativi ai processi umani e degli impasti e i conseguenti effetti, ho scoperto che il sistema biologico vegetale non si discosta poi molto a quello umano e/o animale. La panificazione comprende aspetti biochimici molto complessi e non essendo tuttologi, non possiamo capirli fino in fondo ne esprimere concetti fino in fondo. Tuttavia, con un minimo di volontà e applicazione alla lettura si può arrivare ad avere un quadro più o meno chiaro della situazione che ci aiuterà comunque a capire un tantino in più, quale sia il modo migliore di produrre un pane e/o perché. Cercherò qui, con parole semplici, di descrivervi il mio scenario personale che tuttavia non ritengo acquisito completamente (la chimica è complessa da recepire). Comunque spero sia di aiuto, sa chi legge e desidera, come me, approfondire meglio alcuni aspetti dell’arte bianca e dei suoi complessi processi intrinseci.
Ringrazio le fonti che mi consentono di apprendere e poter scrivere (che riporto a fondo pagina).
Cosa sono gli enzimi
La stragrande maggioranza degli enzimi sono proteine (dal greco Pròteios = al primo posto), un gruppo di macromolecole, ognuna con funzioni specifiche e di primaria importanza che funzioneranno solo su un determinato substrato (substrato = molecola di riferimento al quale l’enzima stesso è “legato” e sul quale agirà, svolgendo il suo specifico ruolo in modo singolare).
Sebbene gli enzimi prendano parte a una reazione chimica (di carattere enzimatico), non subiscono variazioni nel corso della reazione stessa. In chimica, si usa denominare gli enzimi, catalizzatori biologici, i quali, fungono da acceleratori, semplificando le reazioni chimiche. Possiamo paragonarli ad un motore che, alla spinta dell’acceleratore, ci permette di aumentare la velocità su strada e arrivare prima al traguardo.
Le proteine sono sensibili al calore e per questo si definiscono termolabili. Ogni enzima possiede una propria temperatura e un proprio pH ottimali, rispetto all’attività che andranno poi a svolgere. L’attività enzimatica aumenta con l’aumentare della temperatura fino a raggiungere un punto di denaturazione (fenomeno chimico che determina la variazione della struttura proteica) senza comunque però variarne la struttura primaria.
Oltre alla temperatura e al pH, gli enzimi dipendono anche dalla presenza di acqua, dalla quantità di enzima utilizzato, dalla disponibilità del substrato e dal tempo di reazione impiegato in tutto il processo.
Una molecola enzimatica si presenta ripiegata all’interno di una specifica struttura globulare, tridimensionale: cavità. L’interno di questi spazi si assimila alle caratteristiche esterne della molecola di substrato e calzano perfettamente al loro interno come, ad esempio, un piede calza una scarpa o una chiave si insinua perfettamente all’interno di una serratura.
Quando il sito attivo di un enzima (la cavità) incontra una molecola di substrato corrispondente, si creano temporaneamente dei legami che vanno a formare un gruppo/legame: enzima-substrato. A quel punto l’enzima riduce l’energia richiesta e può, o rompere la molecola del substrato, oppure unificarla con un’altra molecola per cui la reazione enzimatica ai legami specifici sulla molecola del substrato risulterà a quel punto limitata.
A seconda della sua struttura tridimensionale, un particolare enzima potrà idrolizzare (disgregare) o sintetizzare un solo tipo di molecola. Altri enzimi, meno specifici, appartenenti ad un dato tipo di molecola, promuovono una determinata reazione chimica su intere classi di composti enzimatici che però, condividono elementi strutturali comuni. Qualunque sia comunque la reazione però, l’enzima stesso rimarrà invariato nella sua struttura ed è per questo che gli enzimi vengono definiti catalizzatori di velocità.
Agli enzimi viene aggiunto il suffisso “asi” e nelle applicazioni che richiedono la cottura, gli enzimi più comunemente usati sono: carboidrasi, proteasi e lipossigenasi (catalizzazione degli zuccheri, delle proteine e dei grassi).
Fondamentalmente, il ruolo degli enzimi è quello di svolgere la funzione di idrolisi (disgregazione degli amidi). Essi possono idrolizzare un substrato polimerico (grande gruppo di macromolecole) sia all’estremità del legame (eso-enzimi) che all’interno del legame stesso (endo-enzimi).
Termostabilità enzmatica
L’attività enzimatica è suscettibile alla temperatura. Gli enzimi utilizzati per le cotture dei prodotti da forno risultano generalmente stabili a temperature ambientali e il loro tasso di attività enzimatica, con l’aumentare della temperatura, aumenta di 10°C alla volta fino a raggiungere poi la temperatura di denaturazione (dove poi l’enzima viene disattivato). La maggior parte degli enzimi è denaturato al di sopra dei 60°C.
Ricapitolando, l’attività enzimatica dipende dal pH e ad un pH ottimale viene raggiunta la massima attività enzimatica. I valori sono considerati generalmente stabili a pH compresi tra 4 e 9.
La maggior parte degli impasti presenta valori di pH compresi tra 5 e 6. Un problema di denaturazione enzimatica dovuto al pH è alquanto raro. Tuttavia, a seconda del pH dell’impasto, laddove è attivo l’enzima, l’acidità influisce negativamente con la conseguenza che se ne riduce l’efficacia. Questo potrebbe significare ad esempio che l’aggiunta di malto ove non necessario non sortirebbe un effetto positivo sul prodotto finito.
L’utilità di una determinata attività enzimatica dipende in parte, ma non del tutto, dall’abbinamento tra pH ottimale dell’enzima e pH dell’impasto e a sua volta, l’attività enzimatica dipende dalla concentrazione enzimatica e dal suo substrato (quantitativo di enzimi contenuti in una farina). Una maggiore concentrazione enzimatica aumenta la velocità di reazione sebbene quest’ultima, non sia direttamente proporzionale alla disponibilità enzimatica presente nel substrato stesso. Il tempo in cui l’enzima e il substrato interagiscono tra loro influenza direttamente l’entità della reazione stessa (velocità di fermentazione o di risposta).
Gli enzimi in qualità di additivi
In commercio esistono de composti chimici definiti ossidanti i quali agiscono da “inibitori dell’attività enzimatica” oppure, legano positivamente con l’enzima e/o con il substrato. Per produrre enzimi ci si avvale del processo fermentativo che, mediante inoculo di microrganismi selezionati, essiccati o congelati, da luogo a un brodo di coltura di origine batterica. La moltiplicazione dei microrganismi inoculati (fermentazione), condurrà ad una consistente proliferazione degli stessi e il composto, recuperato dal “brodo” di fermentazione e opportunamente trattato, viene poi immesso in commercio e impiegato come “additivante naturale” (α-amilasi batterica).
L’industria della panificazione vanta una lunga storia di studio e applicazione scientifica degli enzimi.
In effetti, alcuni riferimenti all’uso di enzimi aggiunti nei prodotti da forno, superano addirittura il secolo. Se un enzima viene aggiunto alla farina, spesso, viene distrutto dal calore durante il processo di cottura poiché si tratta di un componente di rigine naturale.
Gli enzimi aggiunti ad uno sfarinato si rivelano molto funzionali e non producono danni ne al prodotto ne alla salute.
I tre gruppi principali di enzimi per prodotti soggetti a cottura sono:
amilasi, cellulasi, pentosanasi (enzimi che idrolizzano i carboidrati)
proteasi (enzimi che idrolizzano le proteine)
lipasi e lipossigenasi (gli enzimi che agiscono sui grassi)
Parleremo delle amilasi che a loro volta si suddividono in: α-amilasi e β-amilasi.
Le amilasi convertono l’amido in zucchero: l’α-amilasi scinde (a caso) l’amido suddividendolo in unità più piccole (destrine) mentre la β-amilasi ha come substrato (amido o destrina) il maltosio.
Affinché questi due enzimi possono svolgere la loro funzione, il granulo di amido dovrà risultare rotto cosicché le singole molecole di amido risultino immediatamente disponibili per l’azione enzimatica.
A seconda della loro origine, le α-amilasi e le β-amilasi mostrano differenze in termini di pH e temperatura, termostabilità e/o altre caratteristiche di stabilità chimica.
Il pH ottimale per l’α-amilasi è 4,5. L’enzima viene invece disattivato/denaturato ad un pH compreso tra 3,3 e 4,0. Con questi parametri l’efficacia nel lieviti naturali risulta ridotta a causa dell’elevata acidità.
La β-amilasi è invece attiva in un intervallo di pH molto più ampio: 4,5-9,2, con un pH ottimale di 5,3.
L’α-amilasi è relativamente termostabile (fino a 70°C), mentre la β-amilasi, a questa temperatura, riduce la sua attività di circa la metà.
L’α-amilasi fungina invece è la meno resistente alla temperatura, seguita dall’amilasi cerealicola; l’amilasi batterica è meno sensibile e molto più stabile. A temperature più elevate,fino a 85°C, mantiene inalterata la sua attività enzimatica.
Ottenere il massimo della resa dall’impiego di enzimi nei prodotti da forno richiede una pianificazione da parte di chi progetta uno sfarinato o un pane e si rende necessaria una competenza specifica per poter poi farne un uso appropriato.
Sterilizzazione preventiva dei ceppi di produzione
Un aspetto molto importante della fermentazione enzimatica è la sterilizzazione. Per coltivare un particolare ceppo di produzione, è necessario dapprima eliminare tutti i microrganismi nativi presenti nelle materie prime e nelle attrezzature. Se non viene effettuata una corretta sterilizzazione, gli organismi selvatici prenderanno il sopravvento sul ceppo produttivo e questo potrebbe inibirne la produzione.
Il ceppo iniziale di produzione viene dapprima coltivato in un “fiasco” contenente sostanze nutritive e posto poi in un incubatore a temperatura ottimale, per permettere la proliferazione delle cellule dei microrganismi posti a germinare. Una volta che il composto è pronto, tutto viene trasferito in un fermentatore (un grande serbatoio contenente materie prime precedentemente sterilizzate e acqua) e la fermentazione avverrà in ambiente adatto allo scopo.
Durante la fermentazione, per ottimizzare la proliferazione, vengono controllate le tempistiche, la temperatura, il pH e l’aria circostante. Quando questa fermentazione sarà completata, la miscela, denominata “brodo di coltura”, viene filtrata e purificata (lavorazione a valle). Gli enzimi vengono estratti dal brodo di fermentazione mediante trattamenti atti a garantire un’estrazione efficiente (centrifugazione o filtrazione). A seguito di un’altra serie di processi di filtrazione, gli enzimi vengono infine separati dall’acqua tramite un processo di evaporazione per poi essere immessi sul mercato sotto forma di polvere, liquido o granuli.
Principale funzione dell’amilasi sulla farina di frumento
La principale funzione dell’amilasi nella farina di frumento è quella di scomporre gli amidi complessi in zuccheri semplici. Una molecola di maltosio si suddivide a metà e si ottengono due molecole di glucosio. Senza questo importante processo di scissione che si verifica in ogni impasto, la fermentazione non potrebbe avere luogo poiché il lievito, per poter produrre anidride carbonica, si nutre di zuccheri semplici.
Per produrre un pane il cui impasto è correttamente fermentato, con una crosta dai colori intensi e dal sapore ben sviluppato, è auspicabile un buon equilibrio degli enzimi amilasi presente in natura nella farina di frumento. Il parametro che aiuta chi panifica è riportato sulla scheda tecnica di una farina e corrisponde al Falling Number. Per poter avere una lievitazione normale, il valore relativo al FN non dovrebbe scendere al di sotto di 270 secondi per farine medio deboli e al di sotto dei 300 per farine forti (G. Raimondi 2018). Più l’attività amilasica ha valori elevati e più si sarà in presenza di farine deboli e viceversa.
Nel grano germogliato, esiste un’attività amilasica naturale. Tuttavia, i chicchi germinati presentano una durata di conservazione molto breve, quindi i cereali vengono solitamente raccolti ed essiccati molto prima della fase di germinazione, per evitare danni al grano. Una farina con carente di attività amilasica può essere addizionata con piccole quantità di orzo maltato in modo tale da ottenere un corretto equilibrio poi durante il processo panificatorio.
Alcune teorie molto interessanti
L’amilopectina (frazione insolubile dell’amido formata da numerose catene di molecole di glucosio, ramificate e collegate fra loro) cristallizza alla medesima velocità degli enzimi aggiunti. La lunghezza della catena ridotta, manterrebbe una maggiore flessibilità e morbidezza quando quest’ultima viene cristallizzata. Alcune toerie sostengono che le catene abbreviate di amilopectina presentano una minore tendenza alla retrogradazione. In entrambi i casi, l’enzima continua ad idrolizzare l’amido fino a cottura terminata. L’α-amilasi batterica sembra termicamente più stabile rispetto ad altre fonti o tipi di α-amilasi. Questa potrebbe essere la ragione del suo maggior impiego nella produzione e commercializzazione dei prodotti da forno.
Poiché l’enzima resta attivo nel prodotto cotto, è possibile che l’attività enzimatica si spinga troppo oltre il dovuto e, a quel punto, invece di conferire morbidezza alla mollica, può renderla gommosa. Il dosaggio iniziale dell’enzima è pertanto fondamentale per prevenire questo antipatico fenomeno di “gommosità” che si riscontra nel prodotto finito. Per prevenzione, contro il sovradosaggio, vengono impiegatesostanze addizionate all’α-amilasi (amiloglucosidasi, pullulanasi), cioè enzimi che accompagnati all’α-amilasi aiutano a prevenire la gommosità nella mollica del pane.
L’α-amilasi può essere addizionata anche con acido ascorbico, per favorire l’aumento di volume del pane e enfatizzare l’aspetto qualitativo e organolettico della mollica. Alcuni artigiani aggiungono separatamente α-amilasi e acido ascorbico oppure creano una miscela ben dosata e personalizzata delle due componenti.
C’è sempre molto da imparare per comprendere e non si finisce mai di leggere ne di scrivere o tradurre. Non so voi, ma io trovo tutto questo molto affascinante e il mio puzzle, pian pianino, si compone e mi aiuta a donare ai miei sensi e ai miei cari, profumi e sapori che solo il PANE sa dare.
Buona lettura!
Fonti: classfoods.com
Approfondimenti: researchgate.net
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Categorie: Sapere é sapore
Tags: alfa amilasi beta amilasi processi enzimatici proteine
By Pasta Madre Lover
Ringrazio le fonti che mi consentono di apprendere e poter scrivere (che riporto a fondo pagina).
Cosa sono gli enzimi
La stragrande maggioranza degli enzimi sono proteine (dal greco Pròteios = al primo posto), un gruppo di macromolecole, ognuna con funzioni specifiche e di primaria importanza che funzioneranno solo su un determinato substrato (substrato = molecola di riferimento al quale l’enzima stesso è “legato” e sul quale agirà, svolgendo il suo specifico ruolo in modo singolare).
Sebbene gli enzimi prendano parte a una reazione chimica (di carattere enzimatico), non subiscono variazioni nel corso della reazione stessa. In chimica, si usa denominare gli enzimi, catalizzatori biologici, i quali, fungono da acceleratori, semplificando le reazioni chimiche. Possiamo paragonarli ad un motore che, alla spinta dell’acceleratore, ci permette di aumentare la velocità su strada e arrivare prima al traguardo.
Le proteine sono sensibili al calore e per questo si definiscono termolabili. Ogni enzima possiede una propria temperatura e un proprio pH ottimali, rispetto all’attività che andranno poi a svolgere. L’attività enzimatica aumenta con l’aumentare della temperatura fino a raggiungere un punto di denaturazione (fenomeno chimico che determina la variazione della struttura proteica) senza comunque però variarne la struttura primaria.
Oltre alla temperatura e al pH, gli enzimi dipendono anche dalla presenza di acqua, dalla quantità di enzima utilizzato, dalla disponibilità del substrato e dal tempo di reazione impiegato in tutto il processo.
Una molecola enzimatica si presenta ripiegata all’interno di una specifica struttura globulare, tridimensionale: cavità. L’interno di questi spazi si assimila alle caratteristiche esterne della molecola di substrato e calzano perfettamente al loro interno come, ad esempio, un piede calza una scarpa o una chiave si insinua perfettamente all’interno di una serratura.
Quando il sito attivo di un enzima (la cavità) incontra una molecola di substrato corrispondente, si creano temporaneamente dei legami che vanno a formare un gruppo/legame: enzima-substrato. A quel punto l’enzima riduce l’energia richiesta e può, o rompere la molecola del substrato, oppure unificarla con un’altra molecola per cui la reazione enzimatica ai legami specifici sulla molecola del substrato risulterà a quel punto limitata.
A seconda della sua struttura tridimensionale, un particolare enzima potrà idrolizzare (disgregare) o sintetizzare un solo tipo di molecola. Altri enzimi, meno specifici, appartenenti ad un dato tipo di molecola, promuovono una determinata reazione chimica su intere classi di composti enzimatici che però, condividono elementi strutturali comuni. Qualunque sia comunque la reazione però, l’enzima stesso rimarrà invariato nella sua struttura ed è per questo che gli enzimi vengono definiti catalizzatori di velocità.
Agli enzimi viene aggiunto il suffisso “asi” e nelle applicazioni che richiedono la cottura, gli enzimi più comunemente usati sono: carboidrasi, proteasi e lipossigenasi (catalizzazione degli zuccheri, delle proteine e dei grassi).
Fondamentalmente, il ruolo degli enzimi è quello di svolgere la funzione di idrolisi (disgregazione degli amidi). Essi possono idrolizzare un substrato polimerico (grande gruppo di macromolecole) sia all’estremità del legame (eso-enzimi) che all’interno del legame stesso (endo-enzimi).
Termostabilità enzmatica
L’attività enzimatica è suscettibile alla temperatura. Gli enzimi utilizzati per le cotture dei prodotti da forno risultano generalmente stabili a temperature ambientali e il loro tasso di attività enzimatica, con l’aumentare della temperatura, aumenta di 10°C alla volta fino a raggiungere poi la temperatura di denaturazione (dove poi l’enzima viene disattivato). La maggior parte degli enzimi è denaturato al di sopra dei 60°C.
Ricapitolando, l’attività enzimatica dipende dal pH e ad un pH ottimale viene raggiunta la massima attività enzimatica. I valori sono considerati generalmente stabili a pH compresi tra 4 e 9.
La maggior parte degli impasti presenta valori di pH compresi tra 5 e 6. Un problema di denaturazione enzimatica dovuto al pH è alquanto raro. Tuttavia, a seconda del pH dell’impasto, laddove è attivo l’enzima, l’acidità influisce negativamente con la conseguenza che se ne riduce l’efficacia. Questo potrebbe significare ad esempio che l’aggiunta di malto ove non necessario non sortirebbe un effetto positivo sul prodotto finito.
L’utilità di una determinata attività enzimatica dipende in parte, ma non del tutto, dall’abbinamento tra pH ottimale dell’enzima e pH dell’impasto e a sua volta, l’attività enzimatica dipende dalla concentrazione enzimatica e dal suo substrato (quantitativo di enzimi contenuti in una farina). Una maggiore concentrazione enzimatica aumenta la velocità di reazione sebbene quest’ultima, non sia direttamente proporzionale alla disponibilità enzimatica presente nel substrato stesso. Il tempo in cui l’enzima e il substrato interagiscono tra loro influenza direttamente l’entità della reazione stessa (velocità di fermentazione o di risposta).
Gli enzimi in qualità di additivi
In commercio esistono de composti chimici definiti ossidanti i quali agiscono da “inibitori dell’attività enzimatica” oppure, legano positivamente con l’enzima e/o con il substrato. Per produrre enzimi ci si avvale del processo fermentativo che, mediante inoculo di microrganismi selezionati, essiccati o congelati, da luogo a un brodo di coltura di origine batterica. La moltiplicazione dei microrganismi inoculati (fermentazione), condurrà ad una consistente proliferazione degli stessi e il composto, recuperato dal “brodo” di fermentazione e opportunamente trattato, viene poi immesso in commercio e impiegato come “additivante naturale” (α-amilasi batterica).
L’industria della panificazione vanta una lunga storia di studio e applicazione scientifica degli enzimi.
In effetti, alcuni riferimenti all’uso di enzimi aggiunti nei prodotti da forno, superano addirittura il secolo. Se un enzima viene aggiunto alla farina, spesso, viene distrutto dal calore durante il processo di cottura poiché si tratta di un componente di rigine naturale.
Gli enzimi aggiunti ad uno sfarinato si rivelano molto funzionali e non producono danni ne al prodotto ne alla salute.
I tre gruppi principali di enzimi per prodotti soggetti a cottura sono:
amilasi, cellulasi, pentosanasi (enzimi che idrolizzano i carboidrati)
proteasi (enzimi che idrolizzano le proteine)
lipasi e lipossigenasi (gli enzimi che agiscono sui grassi)
Parleremo delle amilasi che a loro volta si suddividono in: α-amilasi e β-amilasi.
Le amilasi convertono l’amido in zucchero: l’α-amilasi scinde (a caso) l’amido suddividendolo in unità più piccole (destrine) mentre la β-amilasi ha come substrato (amido o destrina) il maltosio.
Affinché questi due enzimi possono svolgere la loro funzione, il granulo di amido dovrà risultare rotto cosicché le singole molecole di amido risultino immediatamente disponibili per l’azione enzimatica.
A seconda della loro origine, le α-amilasi e le β-amilasi mostrano differenze in termini di pH e temperatura, termostabilità e/o altre caratteristiche di stabilità chimica.
Il pH ottimale per l’α-amilasi è 4,5. L’enzima viene invece disattivato/denaturato ad un pH compreso tra 3,3 e 4,0. Con questi parametri l’efficacia nel lieviti naturali risulta ridotta a causa dell’elevata acidità.
La β-amilasi è invece attiva in un intervallo di pH molto più ampio: 4,5-9,2, con un pH ottimale di 5,3.
L’α-amilasi è relativamente termostabile (fino a 70°C), mentre la β-amilasi, a questa temperatura, riduce la sua attività di circa la metà.
L’α-amilasi fungina invece è la meno resistente alla temperatura, seguita dall’amilasi cerealicola; l’amilasi batterica è meno sensibile e molto più stabile. A temperature più elevate,fino a 85°C, mantiene inalterata la sua attività enzimatica.
Ottenere il massimo della resa dall’impiego di enzimi nei prodotti da forno richiede una pianificazione da parte di chi progetta uno sfarinato o un pane e si rende necessaria una competenza specifica per poter poi farne un uso appropriato.
Sterilizzazione preventiva dei ceppi di produzione
Un aspetto molto importante della fermentazione enzimatica è la sterilizzazione. Per coltivare un particolare ceppo di produzione, è necessario dapprima eliminare tutti i microrganismi nativi presenti nelle materie prime e nelle attrezzature. Se non viene effettuata una corretta sterilizzazione, gli organismi selvatici prenderanno il sopravvento sul ceppo produttivo e questo potrebbe inibirne la produzione.
Il ceppo iniziale di produzione viene dapprima coltivato in un “fiasco” contenente sostanze nutritive e posto poi in un incubatore a temperatura ottimale, per permettere la proliferazione delle cellule dei microrganismi posti a germinare. Una volta che il composto è pronto, tutto viene trasferito in un fermentatore (un grande serbatoio contenente materie prime precedentemente sterilizzate e acqua) e la fermentazione avverrà in ambiente adatto allo scopo.
Durante la fermentazione, per ottimizzare la proliferazione, vengono controllate le tempistiche, la temperatura, il pH e l’aria circostante. Quando questa fermentazione sarà completata, la miscela, denominata “brodo di coltura”, viene filtrata e purificata (lavorazione a valle). Gli enzimi vengono estratti dal brodo di fermentazione mediante trattamenti atti a garantire un’estrazione efficiente (centrifugazione o filtrazione). A seguito di un’altra serie di processi di filtrazione, gli enzimi vengono infine separati dall’acqua tramite un processo di evaporazione per poi essere immessi sul mercato sotto forma di polvere, liquido o granuli.
Principale funzione dell’amilasi sulla farina di frumento
La principale funzione dell’amilasi nella farina di frumento è quella di scomporre gli amidi complessi in zuccheri semplici. Una molecola di maltosio si suddivide a metà e si ottengono due molecole di glucosio. Senza questo importante processo di scissione che si verifica in ogni impasto, la fermentazione non potrebbe avere luogo poiché il lievito, per poter produrre anidride carbonica, si nutre di zuccheri semplici.
Per produrre un pane il cui impasto è correttamente fermentato, con una crosta dai colori intensi e dal sapore ben sviluppato, è auspicabile un buon equilibrio degli enzimi amilasi presente in natura nella farina di frumento. Il parametro che aiuta chi panifica è riportato sulla scheda tecnica di una farina e corrisponde al Falling Number. Per poter avere una lievitazione normale, il valore relativo al FN non dovrebbe scendere al di sotto di 270 secondi per farine medio deboli e al di sotto dei 300 per farine forti (G. Raimondi 2018). Più l’attività amilasica ha valori elevati e più si sarà in presenza di farine deboli e viceversa.
Nel grano germogliato, esiste un’attività amilasica naturale. Tuttavia, i chicchi germinati presentano una durata di conservazione molto breve, quindi i cereali vengono solitamente raccolti ed essiccati molto prima della fase di germinazione, per evitare danni al grano. Una farina con carente di attività amilasica può essere addizionata con piccole quantità di orzo maltato in modo tale da ottenere un corretto equilibrio poi durante il processo panificatorio.
Alcune teorie molto interessanti
L’amilopectina (frazione insolubile dell’amido formata da numerose catene di molecole di glucosio, ramificate e collegate fra loro) cristallizza alla medesima velocità degli enzimi aggiunti. La lunghezza della catena ridotta, manterrebbe una maggiore flessibilità e morbidezza quando quest’ultima viene cristallizzata. Alcune toerie sostengono che le catene abbreviate di amilopectina presentano una minore tendenza alla retrogradazione. In entrambi i casi, l’enzima continua ad idrolizzare l’amido fino a cottura terminata. L’α-amilasi batterica sembra termicamente più stabile rispetto ad altre fonti o tipi di α-amilasi. Questa potrebbe essere la ragione del suo maggior impiego nella produzione e commercializzazione dei prodotti da forno.
Poiché l’enzima resta attivo nel prodotto cotto, è possibile che l’attività enzimatica si spinga troppo oltre il dovuto e, a quel punto, invece di conferire morbidezza alla mollica, può renderla gommosa. Il dosaggio iniziale dell’enzima è pertanto fondamentale per prevenire questo antipatico fenomeno di “gommosità” che si riscontra nel prodotto finito. Per prevenzione, contro il sovradosaggio, vengono impiegatesostanze addizionate all’α-amilasi (amiloglucosidasi, pullulanasi), cioè enzimi che accompagnati all’α-amilasi aiutano a prevenire la gommosità nella mollica del pane.
L’α-amilasi può essere addizionata anche con acido ascorbico, per favorire l’aumento di volume del pane e enfatizzare l’aspetto qualitativo e organolettico della mollica. Alcuni artigiani aggiungono separatamente α-amilasi e acido ascorbico oppure creano una miscela ben dosata e personalizzata delle due componenti.
C’è sempre molto da imparare per comprendere e non si finisce mai di leggere ne di scrivere o tradurre. Non so voi, ma io trovo tutto questo molto affascinante e il mio puzzle, pian pianino, si compone e mi aiuta a donare ai miei sensi e ai miei cari, profumi e sapori che solo il PANE sa dare.
Buona lettura!
Fonti: classfoods.com
Approfondimenti: researchgate.net
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